Da coppia a famiglia

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 Intervista con Eleonora, 28 anni, avvenuta quando il bambino aveva sei settimane

 Come hai scoperto di essere incinta: con il solito TEST che si compra in farmacia?

No, per telefono. Non mi sentivo affatto in forma. Avevo qualche linea di febbre, un po’ di nausea, un vago senso di indolenzimento in tutto il corpo: credevo di essermi presa l’ennesima influenza di stagione. Visto che non passava con l’aspirina, ho chiamato il medico. Quando al telefono gli ho descritto i sintomi, lui si è messo a ridere e mi ha detto: «Non sarà per caso incinta, signora?». Il test ha confermato.

Te lo aspettavi o era del tutto imprevisto?

È stata una sorpresa, anche se, da mesi, non prendevo precauzioni. Quando ho visto il colore del test, mi sono messa a piangere. La prima emozione non è stata gioia, ma terrore puro. «Non si torna più indietro…». Mi sentivo perduta. Stava succedendo qualcosa di enorme, più grande di me. Ho telefonato a mio marito per dargli la notizia, quasi singhiozzando.

E quando ti sei abituata all’idea?

Praticamente subito. Non so se dipende dall’esuberanza ormonale o dal fatto che tutti si occupano di te o dalla coscienza di quello che stai facendo:  mi sono sentita addosso una carica di ottimismo rara e preziosa. Ricordo che salivo sul treno per andare al lavoro, tutte le mattine, e mi guardavo riflessa nel vetro, appagata. Spiavo le persone sedute intorno a me e pensavo «loro non sanno, non possono ancora sapere». Non riconoscono i segni. Era il mio segreto. Nessuno poteva capire come io mi sentissi assolutamente, perfettamente felice. Invulnerabile. Questa sensazione di immortalità e di vita, è qualcosa che ti porti dentro per sempre. Mentre viaggiavo, come qualsiasi altro giorno, camminavo, entravo in classe, leggevo, guardavo fuori dalla finestra, interrogavo, ripetevo, ridevo, piangevo, io ero dentro l’ordine naturale delle cose.

Dopo lo «spavento» della scoperta, qual è la prima emozione positiva della gravidanza che ricordi?

La prima volta che mi hanno fatto sentire il cuore del bambino. Leggero e velocissimo, come una farfalla che batte le ali dentro di te. Un solletico nel ventre, vita dentro la vita

Qual è stata invece la prima delusione?

La notizia che non era una bambina. L’ho vissuta malissimo, devo confessarlo. Io non mi sono mai immaginata né sentita né pensata come la madre di un maschio. Mi sembrava scontato avere una figlia. Ho vissuto in una famiglia matriarcale: un rapporto bellissimo con mia nonna, una solida confidenza con mia madre, un legame forte, inseparabile con le mie due sorelle. Il «grande assente», l’imprevedibile, l’inaffidabile di casa, è sempre stato mio padre. La cultura maschile non mi appartiene: non mi sembra di poter avere nessuna modalità in comune con un figlio. Insomma, lì per lì, quando me l’hanno detto, io ho risposto: «Non è possibile, vi sbagliate. Io non posso che essere la madre di una femmina». Poi, la prima immagine che mi è venuta negli occhi è stata quella di me, tristissima, a Natale, davanti a uno scaffale di fucili ad acqua e pistole finte, mentre guardo, con la coda dell’occhio e invidio, con tutto il cuore, le altre madri che comperano bambole. Ma, anche se spingo oltre lo sguardo nel tempo, faccio fatica. Le amiche mi dicono che un figlio maschio è più legato alla madre, meno conflittuale, meno critico, paradossalmente più presente e complice. Ma io non sognavo un mammone, volevo una ragazzina che, a tredici anni, mi mettesse in discussione. Mi dicesse: «Mamma, ma ti pare il modo di vestirti?»

Anche tuo marito preferiva una bambina?

Ha sempre dichiarato che, per lui, era esattamente lo stesso. Lui è superiore, sempre nobilmente equidistante. Poi, però, quando mi ha visto così amareggiata e ostile, si è subito schierato dalla parte del figlio. Sono già alleati: due contro uno.

Questa gravidanza ha cambiato il vostro RAPPORTO?

C’è stato qualche problema, soprattutto all’inizio. Luca sa essere tenero ed «empatico» quanto orgoglioso e ombroso. Credo che si sia sentito messo da parte. A differenza di molti uomini, che provano questo senso di esclusione solo dopo la nascita del bambino, lui mi ha accusato di trascurarlo appena ho saputo di essere incinta. Diceva che ero autosufficiente, che bastavo trionfalmente a me stessa, che non davo l’impressione di avere alcun bisogno di lui. Forse ha ragione. C’era un’intimità profonda, di ascolto attonito, di pudore, di silenzio e mistero alla quale non potevo dargli accesso. Mi sembrava non ci fosse spazio per altro, ero assorbita completamente da quello che stavo facendo. Per di più, ero  ormonalmente  squilibrata   e  non  provavo  nessun desiderio di essere amata,  solo di essere accolta, cullata, contenuta.

Non sei riuscita a spiegarti, a raccontare come ti sentivi, a dire esplicitamente di che cosa avevi bisogno?

Non lo sapevo neanch’io con chiarezza. Ero convinta che anche lui dovesse fare uno sforzo. In fondo, la sua era la parte più facile. Lui non stava cambiando pelle.

Quando avete trovato un equilibrio?

Lo stiamo ancora cercando. Qualcosa s’è rotto, forse non affettivamente, ma SESSUALMEMTE sì. È curioso: passati i primi quattro mesi, io ho cominciato a riavvicinarmi a lui. Era come se tutta questa concentrazione di novità emotive si fosse allentata e lentamente sciolta. Ero tornata «in me» ed ero pronta. Già, pronta: io, con la mia bella pancia, ogni giorno, più arrotondata e sporgente. A quel punto, è stato lui ad allontanarsi. Ad assumere, credo, il comportamento più insensibile e rozzo si possa riservare a una donna incinta, all’insicurezza un po’ titubante con cui ci si riavvicina alla femminilità: mi ha fatto sentire goffa, non attraente. Con ironia. Con disappunto. Quasi a dire: ma non ti vedi? Lui non mi voleva più. E neanch’io l’ho più voluto.

Poi, però, c’è stato il parto, è nato Simone…

… e adesso siamo una famiglia. Sì, madre e padre. Durante il travaglio, Luca non si è mai allontanato. Annotava scrupolosamente la durata delle contrazioni, mi massaggiava il collo, le spalle, i piedi, insisteva perché mi concentrassi sul respiro, parlava, cercava di distrarmi. Ripeteva, forse un po’ meccanicamente, tutto quello che gli avevano insegnato al corso pre-parto. Quando è uscita la testa del bambino, io ero esausta, commossa, sudata, affranta, felice, confusa, tesa, sfinita… Lui ha guardato prima me di suo figlio e in quello sguardo c’era un solo sentimento. Una solennità ferma, che non conoscevo: era, sì, orgoglioso di me, molto orgoglioso. Mi stava ringraziando, quasi contemplando, me sola, in mezzo a tutti. Forse da questo orgoglio, così fiero e così nostro, si può ricominciare.