L’embrione, un corpo estraneo per la madre? (7)

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Oggi al corso preparto che ho iniziato a frequentare con un certo anticipo, è stato affrontato un argomento sul quale non avevo mai riflettuto: l’embrione è per la madre un corpo estraneo! La cellula uovo, da cui si sviluppa il bambino, ha un patrimonio genetico diverso da quello della madre che lo ospita perché è un mix di quello paterno e materno.. E’ un po’ come se si trattasse di un trapianto, di un innesto e come tale è soggetto a una reazione di rigetto da parte delle cellule della madre che lo vivono come estraneo.

Si tratta di una reazione biologica, che spiega però il fatto che certe donne all’inizio della gravidanza provino una spiacevole sensazione di invasione.

La spiegazione di questa situazione è un po’ complicata per me che non so nulla di biologia. Tuttavia ho cercato di immaginare attraverso una immagine quello che avviene: non sarà molto scientifico, ma a me “rende l’idea”. Allora io ho pensato a un bambino piccolissimo, in miniatura (l’embrione), che si attacca a una parete rocciosa (l’utero materno) mentre una tempesta cerca di spazzarlo via (le natural killer materne) perché è un estraneo in questo ambiente. Questa tempesta si placa se il piccolo riesce a emettere un segnale che lo fa riconoscere dall’ambiente, come a dire faccio parte di te, non buttarmi via!

La sua sopravvivenza dunque dipende dall’interazione di due fattori: l’intensità della tempesta (cioè della reazione materna) e la forza con cui si aggrappa . Tutto questo non è legato a sentimenti di accettazione o no da parte della madre, tanto che spesso abortiscono quelle che desiderano pìù intensamente un bambino e proseguono la gravidanza quelle che non lo vogliono ma non hanno il coraggio di abortire! Si tratta di una reazione naturale, fisiologica che ogni essere umano vive nell’utero della propria madre e che ripete come madre quando resta incinta. Ciò che varia da una persona all’altra è l’intensità di queste vicissitudini legate alla sopravvivenza (dunque neutre, né buone né cattive) che restano inscritte nelle proprie cellule e che costituiscono la base della aggressività.

Dopo le prime settimane dalla fecondazione ho capito che tra corpo materno e embrione si instaura un modus vivendi che permette la sopravvivenza: è come se l’embrione venisse considerato un insieme di cellule materne, dunque facesse tutt’uno con la madre, alla stregua di un organo, una parte di se stessa, da cui si staccherà con il parto. “

Queste considerazioni, espresse in modo molto semplice e comprensibile da Lara, sono fondamentali per capire che ogni  interazione madre /embrione è caratterizzata da tentativi di sopraffazione reciproca, che varia quantitativamente in ogni coppia in base alle caratteristiche individuali.

La fisiologica lotta per la sopravvivenza, che caratterizza gli albori della vita di ogni essere umano, determina dunque le vicissitudini della gravidanza e lascia tracce indelebili nell’inconscio del futuro individuo.

Che il rapporto mamma –bambino  non sia fatto solo di amore e tenerezza come si potrebbe pensare prima di averlo vissuto è cosa nota ad ogni mamma onesta con se stessa , che a volte può provare anche verso il più amato dei bimbi forti sentimenti di aggressività, di non sopportazione. Sapere da dove provengono, imparare a riconoscerli aiuta a gestirli senza conseguenze per il bambino e senza sensi di colpa, ma con la consapevolezza che fanno parte della nostra natura umana.

[vc_message style=”square” message_box_color=”orange”]ASPETTI BIOLOGICI

La fecondazione avviene quando il materiale genetico aploide dello spermatozoo (una delle cellule più piccole del corpo umano maschile) penetra e si fonde col materiale genetico aploide dell’ovulo, cellula 10.000 volte più grossa di lui. L’unione dei due DNA origina una nuova cellula diploide (caratterizzata da 46 cromosomi, per metà paterni e per metà materni), da cui si svilupperà un nuovo organismo con caratteristiche somatiche e psichiche appartenenti alle due linee ancestrali.

In questa fase primitiva le cellule che circondano il blastocisti tra il sesto e il settimo giorno dalla fecondazione proliferano formando il trofoblasto che produce enzimi che gli permettono di annidarsi nell’endometrio (rivestimento interno dell’utero) dove trova i fattori nutritivi necessari al suo sviluppo. L’embrione in questa fase produce anche HCG  (ormone della gravidanza) che sembra avere un ruolo di protezione nei confronti della reazione immunitaria materna. La madre infatti cerca di proteggersi dall’attacco di questo corpo estraneo producendo cellule linfocitarie chiamate Natural Killer (NK). L’interazione di queste cellule con la molecola di riconoscimento HLA-G prodotta dalla placenta che si sviluppa a partire dal trofoblasto, determina una riduzione della risposta immunitaria e una conseguente accettazione dell’embrione da parte del corpo materno.

Alterazioni dell’interazione tra cellule NK materne e produzione della molecola HLA-G da parte dell’embrione sono alla base di aborti spontanei nei primi mesi di gravidanza.

Questi sofisticati processi biologici giustificano il concetto di “embrione-corpo estraneo” espresso fin dal 1953 dal biologo brasiliano (naturalizzato britannico) premio Nobel per la medicina nel 1960:  Sir Peter Medawar.[/vc_message]