La gravidanza è un periodo in cui le censure tra i diversi strati della psiche si ammorbidiscono; come sostiene M. Bydlowski (psichiatra e psicoanalista francese esperta in perinatalità) la gravida ha una maggiore “trasparenza psichica” che significa che è più portata a lasciar emergere e a connettersi con la sua storia, non solo presente ma anche passata, e con le figure fondamentali della sua vita.
La gravidanza infatti apre una breccia nel passato più remoto della donna, in quanto riattiva i vissuti che ha provato non solo nella prima infanzia ma anche nella vita intrauterina. E’ come se, per entrare in feed back con il suo bambino, la donna tornasse, inconsapevolmente, alla sua condizione intrauterina/infantile. Inevitabilmente però questa irruzione del passato riporta a galla, riattualizza anche la conflittualità che ognuna, in base alla propria storia e al proprio terreno psichico, ha vissuto con maggiore o minore intensità.
Se per tutte le donne dunque la psicoterapia in gravidanza è un aiuto di inestimabile valore per prepararsi a essere mamma, per riuscire a scaricare e scindere le proprie problematiche dal rapporto con il bambino, per prevenire un accumulo di tensioni che altrimenti, inevitabilmente tenderebbe a esprimersi con dei sintomi più o meno gravi, in certi casi si rivela indispensabile.
Mi riferisco alle donne a cui le difficoltà radicate in un lontano passato già si sono ripresentate in momenti della vita precedenti la gravidanza; o a quelle che le avevano tenute sotto controllo fino a quando la spinta pulsionale di questo periodo le ha fatte riemergere, come capita a chi manifesta per la prima volta sintomi psichici mai apparsi prima di essere incinta.
La psicoterapia (soprattutto quella di tipo analitico*) dà la possibilità di “canalizzare” l’affetto che accompagna gli stati d’animo e i ricordi verbalizzati attraverso le parole, o le emozioni provate ricordando certe situazioni , certe persone, certi momenti della propria vita. Tradurre in parole i propri pensieri, dare voce alle proprie emozioni aiuta a far defluire fisiologicamente l’affetto che, se resta bloccato, incistato, finisce per creare i sintomi.
In particolare il ricorso alla psicoterapia dovrebbe essere non solo necessario ma indispensabile, (anche se purtroppo non sono molti i ginecologi che la consigliano), per la donna in cura con psicofarmaci che all’ inizio di una gravidanza (programmata o no), deve decidere insieme al suo medico che cosa fare: continuare la cura o sospenderla, con il rischio di una ricaduta che può avere conseguenze anche per il feto. La scelta, non semplice, può essere motivo di ansia, tanto in un caso che nell’altro. Infatti le paure, tipiche di tutte le gravide, di poter partorire un bambino “anormale” possono venire intensificate dall’assunzione degli psicofarmaci. A volte le parole rassicuranti dello psichiatra che, in base agli studi epidemiologici fatti su quel farmaco, sa che le probabilità teratogene non aumentano prendendolo, non bastano a tranquillizzare la gravida. D’altra parte però neanche la gravidanza senza farmaci è priva di rischi a causa delle possibili ricadute.
A maggior ragione dunque, per coloro in cui la conflittualità profonda si è già manifestata con sintomi di riconosciuta gravità, poter approfittare regolarmente di una “valvola di scarico” come la seduta con lo psicoterapeuta è di grande aiuto per evitare accumuli di tensione e per prevenire la comparsa o la riacutizzazione di una sintomatologia dolorosa, invalidante e nociva per il piccolo in via di formazione.
- Si tratta di un trattamento psicoterapeutico basato sulla teoria psicoanalitica, ma con modalità di frequenza e durata inferiori
Cfr: Cosa deve sapere la gravida che prende-sospende gli psicofarmaci?
Dott. M. Marcone Milano www.marcellamarcone.it