Il corpo che cambia

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Intervista con Simona, 31 anni, avvenuta alla fine del quinto mese

I primi tre mesi di gravidanza, dal momento della scoperta di essere incinta alle piccole alterazioni fisiche: come li hai vissuti?

Bene e malissimo. Bene: io e Antonio volevamo un figlio da un anno, lo volevamo intensamente. Sembrava che non venisse e così avevamo iniziato a fare le pratiche per l’adozione. Ci sembrava la scelta più naturale: io ho un fratello adottivo e, nella mia famiglia, ci sono stati, in periodi diversi, due ragazzi in affido. Non ho mai pensato di tentare la strada della fecondazione assistita. Era ovvio, per me, che, se non avessi potuto avere figli, avrei aiutato un bambino solo. Invece, proprio allo scadere dell’anno, sono rimasta incinta. Ho annunciato la notizia ai miei genitori la notte di San Silvestro. Meno quattro, meno tre, meno due, meno uno… l’anno è iniziato per me brindando, abbracciandoci, ridendo e piangendo per la commozione.  Malissimo: non avrei potuto stare peggio. Tre mesi di nausee terribili e di insonnia persistente.

Eri preoccupata, spaventata?

Stupita. E demoralizzata, anche. Io non avevo mai sentito parlare di gravidanze difficili. Mi sembrava un problema inesistente o superato; come dire: battuto «dal fulgido progresso della scienza»! Mi ripetevo: sono una donna sana, giovane, attiva, faccio sport, non ho mai avuto un problema di salute… e invece mi sentivo a pezzi. Uno stato di debolezza estenuata e cronica, al punto che passavo tutti i week-end a letto, tentando di recuperare forze. Per tre mesi non sono uscita di casa, non ho visto un’amica, non sono andata a vedere un film al cinema. Il mio unico obiettivo era sopravvivere, cercare di dormire. Dormire: non desideravo altro.

Hai continuato a lavorare?

Sì, e devo dire che non so come ci sia riuscita. Alzarsi era un incubo. Mi svegliavo con una nausea fortissima e correvo in bagno a vomitare. Poi, con grande fatica, mi vestivo e uscivo per andare in ufficio. Non avevo ancora comunicato di essere incinta: un po’ per scaramanzia (non si dice mai prima dei tre mesi) e un po’ per evitare tensioni (e ritorsioni). Nonostante le garanzie e la tutela della legge, una donna che fa un figlio viene ancora vissuta come un problema e un peso. Sono costretti a tenerti, ma i rapporti in azienda cambiano immediatamente. Riescono a farti sentire in colpa. Io volevo rimandare il più possibile quel momento. Così, si è aggiunta un’altra fatica: nascondere i sintomi. Il che era piuttosto difficile, visto che correvo in bagno cinque, sei volte al giorno, per vomitare di nascosto. In più, io accanita fumatrice, ho chiesto di spostarmi d’ufficio. Volevo evitare che il feto si formasse in mezzo alle quaranta, cinquanta sigarette dei miei colleghi di stanza. La scusa «ho smesso di fumare» non ha convinto.

Come affrontavi il problema della nausea?

Lo subivo. Voglio dire: era un appuntamento fisso, non c’era modo di evitarlo. È un tipo particolare di nausea, legata agli odori e alla vista: basta niente a scatenarla. Io non ho mai creduto alle cosiddette «voglie», però ci sono cibi che aiutano a calmare, se non a placare, lo stomaco. Io mangiavo moltissimi grissini e prosciutto. Ma non è mai stata una soluzione. Mi consolavo pensando che questa nausea continua era il segno che ero incinta e che la gravidanza andava avanti.

Non ha mai smesso?

L’unico posto dove la nausea diminuiva, soprattutto di mattina, e dove il sonno era più tranquillo, era la casa dei miei genitori, in campagna. Lì ero protetta, nel guscio. Forse è l’ultima volta che mi sono sentita bambina, la piccola di famiglia. Fra poco, tutta quella tenerezza si sposterà su mia figlia.

Quanto è durato il malessere?

Allo scadere esatto del terzo mese, come per incanto, la nausea è sparita. Da un giorno all’altro mi sono svegliata e mi sentivo benissimo. Lì è cominciata una fase stupenda, di grande entusiasmo e forza fisica. Ho ripreso a lavorare come una pazza, ancora più di prima: la notizia della mia gravidanza ha coinciso con un periodo di estrema produttività. La mia paura di essere «tagliata fuori» è stata capovolta dalla mia stessa energia. Ero un vulcano di idee, di proposte, di voglia di fare. Una vera metamorfosi, anche estetica! Avevo la pelle più levigata, luminosa, i capelli lucidi, persino la ceretta mi durava tre mesi. Mi sentivo così bene che ho deciso di continuare a lavorare fino all’ultimo. Con le nuove normative si può scegliere come distribuire il periodo di maternità: due mesi prima e tre dopo il parto oppure uno e quattro. Io ho scelto la seconda soluzione, così potrò stare più a lungo con mia figlia.

Per la seconda volta, usi il femminile. Sai già che sarà una femmina?

Dall’ultima ecografia, sembra proprio che sia una bambina e che sia sana. Lo spero più di ogni cosa. Io non ho voluto fare l’amniocentesi. Qualunque fosse stato il risultato, anche se avessero riscontrato delle anomalie, non sarei intervenuta. Sono contraria all’aborto, idealmente. Ma se avessero diagnosticato qualche malformazione del feto, sarei stata lacerata fra quello che credo e quello che spero, fra la scelta di rispettare comunque la vita e la coscienza, e il dubbio di mettere al mondo un infelice. Ho preferito non sapere. Non sarei stata in grado di scegliere. Però sono tranquilla. La ginecologa dice che, da quello che si vede, la bimba sta bene, le misure sono nella norma. È solo un lieve sottofondo di paura quello che mi accompagna. Un turbamento profondo, ma quieto. Non mi può capitare niente di brutto, nient’altro.

Che cosa significa nient’altro?

Un mese fa è morto mio padre. È stato un momento tragico e insieme molto particolare della mia gravidanza. Ho passato le ultime notti in clinica, accanto a lui. Tutti mi dicevano: «Fatti forza. Tu hai lei, hai la bambina», ma io provavo un senso di ribellione disperata. «Chi è questa qui?», mi dicevo. «Se dovessi scegliere fra chi se ne va e chi arriva, non avrei dubbi. Io voglio che resti mio padre». «Lei chi è? Non la conosco, non può prendere il suo posto».

È strano. La settimana in cui mio padre si è aggravato, la bimba non si è fatta sentire. È stata gentile. Io piangevo, ma sapevo che c’era e non mi dava disturbi. Per questo penso che non ci possa più succedere nulla, né a me né a mia figlia. Mio padre se n’è andato, con una speranza di vita. Non ho trovato un senso: una nascita non rende più tollerabile la morte, però le dà memoria. E forse continuità. E pace.