Desiderare un bambino (2)

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L’attesa di un figlio non inizia al momento della fecondazione: ogni donna la vive più o meno consapevolmente fin dalla più tenera infanzia (anche se potrà realizzarla o evitarla solo in età adulta) e la esprime attraverso i giochi con le bambole o il loro rifiuto La donna che resta incinta cancella il tempo, più o meno lungo, che la separa dalla bambina che è stata e vive contemporaneamente i due ruoli che hanno caratterizzato la sua infanzia: da un lato torna ad essere la bambina che gioca con la bambola imitando sua madre, dall’altro colei che attraverso la bambola esprime certi suoi intimi desideri, in particolare quelli che non osa manifestare nella realtà.
La gravidanza (senza che la donna se ne renda conto), riattiva desideri profondi caratteristici del periodo infantile, fino a quel momento rimasti sopiti. La loro realizzazione, che dovrebbe essere indiretta e mascherata, spesso non tiene conto delle esigenze imposte dalla realtà in cui vive la donna e avviene direttamente attraverso comportamenti irrazionali e anacronistici per una persona adulta, ma più che comprensibili se attribuiti a una bambina piccola. Queste situazioni, tipiche della gravidanza e comuni alla maggior parte di donne incinte, sono vissute con maggiore o minore intensità in base alla loro storia e al loro carattere.
È quello che racconta Lara, giovane donna incinta che aspetta il suo primo bambino e che durante tutta la gravidanza e il post partum ci racconterà l’evolversi del mondo interiore
E’ serena, felice di diventare mamma; approfitta delle pause di tranquillità per pensare a momenti diversi della sua vita passata nei quali ritrova le stesse sensazioni, gli stessi desideri e fantasie che sta vivendo in questo periodo. I suoi pensieri inconsapevolmente l’aiutano ad affrontare e elaborare i cambiamenti irrevocabili che la nascita di un figlio porterà nella sua vita. Mettere al mondo un bambino infatti costituisce un passo irreversibile che implica, oltre a una serie di problemi pratici, soprattutto grandi mutamenti di investimenti affettivi che a volte possono mettere in crisi l’equilibrio della donna, dell’uomo, della coppia.
“Non so da quanto tempo desidero un bambino; credo da sempre, da quando, bambina, a chi mi chiedeva che cosa avrei voluto fare da grande, rispondevo “la mamma di tanti figli”. Mi piacevano molto i neonati per il loro aspetto fragile e vulnerabile; mi sembravano così bisognosi di affetto, calore e tenerezza! Il mio cuginetto per esempio, fin dalla prima volta che l’ho visto, mi ha conquistata con i suoi occhioni neri che mi fissavano forse senza vedermi: era solo poco più grosso del mio bambolotto ma, se piangeva, urlava così forte e diventava così paonazzo che restavo stupita e allo stesso tempo spaventata perché temevo soffocasse.
Avevo solo cinque anni, ma con lui mi sentivo grande e giudiziosa. Purtroppo gli adulti avevano poca fiducia in me, non me lo lasciavano tenere in braccio quanto avrei desiderato, e soprattutto mi vietavano di dargli il biberon o di cambiarlo, di dedicargli tutte quelle cure materne da cui ero attratta.
Mia madre mi consolava dicendomi di avere pazienza. Sarebbe venuto anche per me il momento di occuparmi dei miei bambini e mi augurava di mantenere lo stesso entusiasmo. Per lei, tirar su me e mia sorella non deve essere stato un compito sempre facile e piacevole. Infatti qualche volta mi racconta che, quando mio padre era via per i suoi viaggi di lavoro, l’ansia e la stanchezza le impedivano persino di godersi i momenti felici che tanto apprezzava se era serena e riposata. Credo che, purtroppo, nella sua mente sia rimasto più vivo il ricordo della fatica che non quello della gioia della maternità, come capita a tante donne che in quel periodo hanno vissuto qualsiasi tipo di problema.“