Prima che esistesse l’ecografia si sapeva ben poco dell’embrione/ feto: fino all’inizio del XIX secolo la donna aveva la certezza di essere incinta* solo quando sentiva il feto muoversi dentro di lei, poi lo stetoscopio appoggiato sul ventre della gravida ha permesso di sentirne i battiti del cuore e i raggi X ne hanno mostrato lo scheletro.
Messa a punto a partire dagli anni 40 ma utilizzata per la prima volta nel 1964 a Glasgow, l’ecografia è entrata nella routine ostetrica negli anni 80, cambiando l’approccio alla gravidanza sia per il medico che per i futuri genitori per cui costituisce un’esperienza di primaria importanza per il costituirsi del processo dì parentalità.
E’ costituita da ultrasuoni a frequenze senza effetti biologici negativi per l’essere umano. Si basa sulla tecnologia bellica di cui erano dotati i sommergibili (ecoscandagli radar, cioè sistemi a impulsi sonori che permettevano di conoscere la posizione del nemico). All’inizio era praticata su donne distese in una vasca piena d’acqua.
L’ecografia, mostrando la reale esistenza dell’embrione/feto rivela alla donna la sua impotenza di fronte a ciò che si sviluppa dentro di lei, rendendola spettatrice di qualcosa su cui non ha possibilità di intervenire ( https://maternita360.it/lembrione-un-corpo-estraneo-per-la-madre-7/) e permette al padre di prendere coscienza di una gravidanza anche quando non presenta ancora segni visibili.( https://maternita360.it/alcuni-aspetti-psicologici-della-paternita/ )
Quella fatta in gravidanza è molto diversa dalle altre ecografie in quanto c’è un confronto tra l’obiettività e l’immaginazione. Di solito le immagini che compaiono sullo schermo, commentate dall’ecografista in un contesto affettivo positivo, arricchiscono l’immaginazione del genitore, la rappresentazione che si fa del nascituro.
Tuttavia di fronte all’ecografia possono anche sorgere sensazioni perturbanti, legate all’estraneità del feto. Un forte gap tra il bambino immaginario e quello reale può inibire le fantasie sul bambino della fantasia, o le immagini possono ravvivare fantasmi di un embrione/feto parassita, pericoloso, divorante dall’interno. Questo permette di capire perché certe donne rifiutino di guardare lo schermo. **
Se l’ecografia rappresenta il primo incontro con il bambino, è fondamentale il modo in cui si comporta l’ecografista che lo presenta ai genitori, instaurando una relazione profonda soprattutto con la donna per l’intenso scambio emotivo che si crea tra loro attraverso il contatto, lo sguardo, la parola.
Atteggiamento molto più difficile se la diagnosi prenatale evidenzia anomalie da comunicare ai genitori. Metterli di fronte a una malformazione che prevede l’interruzione della gravidanza o a una patologia che può essere curata ma che richiede una particolare preparazione psicologica ad accogliere un bambino malato, significa infliggere loro una ferita, una umiliazione che li colpirà violentemente per tutta la vita. Non c’è un buon modo di comunicare una catastrofe, ma almeno si può evitare di commettere sbagli macroscopici rispettando il silenzio di chi sta vivendo uno shock, accogliendo e supportando un dolore che deve trovare modo di uscire e di essere elaborato.
L’ecografista, in questo caso, deve accettare il ruolo di oggetto persecutore, come se avesse creato lui stesso il problema: non deve aspettarsi riconoscenza per una diagnosi ben fatta! Deve avere ben presente che nel suo lavoro non può sbagliare ma non può godere delle sue performances: l’errore per eccesso crea ansie inutili ma quello per difetto è perseguibile!
Se dunque l’ecografia mette di fronte alla realtà, positiva o difficile da accettare, va ricordato che in molti casi una diagnosi precoce può salvare la vita di un bambino e dare al genitore il tempo necessario per prepararsi ad accettarlo per quello che è.
* test di gravidanza sono comparsi solo negli anni 30/40
** Questo atteggiamento “sintomatico” dovrebbe indurle a lavorare un po’ su se stesse e sulle proprie fantasie con una psicoterapia
Dott. M.Marcone www.marcellamarcone.it