“Il comportamento ansioso dei miei genitori durante la gravidanza non ha certo creato un clima disteso e sereno, che sarebbe stata la cosa di cui avevo più bisogno. Sentirmi dare consigli su tanti aspetti della mia vita da gravida o invitarmi a fare attenzione a qualsiasi cosa come se fossi in costante pericolo, o sentirmi raccontare la storia di aborti avvenuti in situazioni normali come la mia non faceva che aumentare quel lieve e celato timore che avevo di perdere il bambino.
In fondo, anche senza essere ossessionata dalla paura di abortire, ogni volta che provavo il minimo dolore al ventre pensavo al peggio e spesso controllavo di non avere perdite di sangue. Abortire sarebbe stato terribile, tanto che evitavo il più possibile l’argomento e cercavo di non chiedermi quanto avrei sofferto se mi fosse capitato. Oltre a desiderare molto il bambino, se lo avessi perso mi sarei sentita menomata, incapace di essere del tutto donna. Non avevo motivi reali per nutrire simili paure, cercavo di non pensare a questa infausta eventualità e, pur conducendo una vita più tranquilla e riguardata del solito, non mi comportavo né da malata né da convalescente. Non rischiavo inutilmente di abortire giocando a tennis o facendo passeggiate a cavallo come prima della gravidanza, né mi stressavo con lunghi percorsi in automobile solo per il gusto di andare a ballare in una discoteca lontana, ma andavo in bicicletta, in barca, nuotavo e guidavo normalmente tutte le volte che ne avevo voglia e bisogno.”
È tipico di molte gestanti vivere l’inizio della gravidanza con la paura di perdere il bambino. In genere questo si verifica
- quando la donna ha già avuto una o più esperienze di interruzione di gravidanza; fino a quando non viene superata la settimana del precedente aborto sussistono maggiori difficoltà a investire affettivamente il bambino per paura di nuove delusioni. Oltrepassato incolume il periodo a rischio, la donna diviene cosciente della realtà del suo stato che prima negava e non teme più di fantasticare sul suo futuro di mamma.
- in coloro che hanno avuto particolari difficoltà a restare incinte, attendendo per anni una gravidanza che non arrivava mai. Quando finalmente si verifica l’evento tanto atteso – per il quale si erano perse le speranze – provano una tale incredulità da non riuscire a rendersi conto della realtà per un periodo più o meno lungo. Prima vivono il loro stato come un sogno a cui non vale la pena credere, perché sul più bello potrebbe subire un’ interruzione.
La paura di perdere il bambino dunque può rappresentare, in base alla sua intensità e alla sua durata, un ostacolo nell’investimento affettivo del figlio, con conseguenze anche gravi sul suo sviluppo. Per questo motivo sarebbe auspicabile che le donne “a rischio” per le vicende vissute in precedenza, trovassero il coraggio di elaborarla con un lavoro su se stesse, per vivere più serenamente la gravidanza e per offrire al nascituro le condizioni affettive ideali per uno sviluppo sano e armonioso.
Dott. M. Marcone www.marcellamarcone.it