La paura della madre di fare del male al suo bambino

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Come sosteneva Freud la differenza tra la normalità e la patologia non riguarda tanto la qualità di certe manifestazioni ma la frequenza e l’intensità con cui si presentano: questo significa che, pur evidenziando le stesse caratteristiche, non sempre sono l’espressione di uno stato patologico.

Mi riferisco per esempio alla paura della madre di fare male al suo bambino. Ogni donna che diventa madre la prova, con sfumature diverse ma soprattutto con intensità diversa. (cfr. Quello che le madri non osano confessare)

Non ha nulla di patologico nella donna che, priva di esperienza di accudimento teme di far male al suo piccolo svolgendo gli atti della quotidianità: cambiarlo, vestirlo, nutrirlo, lavarlo. In genere l’iniziale sensazione di estraneità verso il bambino, da cui deriva la paura della mamma, è sostituita dalla capacità di “maneggiarlo” senza timore, fino al sapere come prenderlo per calmarlo se piange o per farlo addormentare. E neppure è patologico il pensiero che a volte attraversa la mente della mamma di fronte al bebé inerme e totalmente dipendente da lei, di potergli fare “qualsiasi cosa”, senza che sia in grado di difendersi.

Si tratta di pensieri comuni a tutte le donne, che insorgono all’improvviso e che scompaiono senza che venga elaborata nessuna strategia per metterli in atto o per cercare di reprimerli.

Nonostante ciò ci sono mamme molto angosciate dall’irruzione improvvisa di pensieri di questo tipo, che compaiono in rottura con quello a cui stanno pensando e che richiedono molta energia per essere tenuti a bada. Si spaventano per quello che la loro mente elabora, si sentono in colpa, temono che queste idee ( su cui non smettono di rimuginare) possano realizzarsi tanto che, per mettersi al riparo da nefaste conseguenze, si allontanano dal bambino affidandolo  il più possibile ad altri, e evitando di occuparsene. Questo atteggiamento ovviamente non permette di godere del tempo da trascorrere insieme e si riflette sulla qualità del legame che creano col bambino.

In questi casi, caratterizzati da pensieri intrusivi intensi, continui, vissuti come se le paure che esprimono potessero realizzarsi, si parla di DOC, disturbo ossesssivo compulsivo che richiede spesso il ricorso a una terapia farmacologica oltre che psicoterapeutica.

Il DOC è caratterizzato da ossessioni che creano ansia (dall’ essere la causa di attacchi aggressivi verso il figlio al non essere abbastanza attenta alla sua incolumità) e da compulsioni, ossia da azioni che si sentono obbligate a eseguire per tenere l’ansia sotto controllo. Per esempio la madre che teme di poter buttare il figlio nel vuoto, oltre a evitare di uscire sul balcone col bambino in braccio deve continuamente accertarsi di avere chiuso ermeticamente tutte le finestre di casa, come a costituire una barriera che lo protegga da un atto che lei stessa potrebbe commettere. Proprio grazie a accorgimenti di questo tipo, per quanto espressi in modo patologico, si può dire che il bambino non corre dei reali rischi accanto a una madre affetta da DOC, che non ha l’intenzione di fargli del male ma teme di poterglielo fare, spinta da forze che non è in grado di controllare e dalle quali lo deve proteggere.

Il DOC, che può già manifestarsi durante la gravidanza, ma che in genere fa la sua comparsa nel post partum, non deve essere trascurato perché  influisce pesantemente sulla qualità di vita di questo periodo

Dott. M. Marcone  Milano

www.marcellamarcone.it