Il pianto del bebè

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Fin dalla nascita il pianto del bebé, caratterizzato da forti grida per espellere il liquido amniotico che ne riempiva l’apparato respiratorio, ha la funzione di un pre-linguaggio. Da un lato esprime la vitalità, la gioia del neonato di essere uscito indenne dai rischi del parto; dall’altro la sensazione di difficoltà di trovarsi in un ambiente con caratteristiche tanto diverse da quelle a cui era abituato.

Nascendo infatti non è più immerso nel liquido amniotico che lo proteggeva da luci e rumori, che gli garantiva temperatura costante. Si trova in un ambiente nuovo, non più circoscritto come l’utero materno, che lo mette in uno stato di profonda insicurezza, che minaccia la sua stessa sopravvivenza.  Freud, che ha definito con il termine di Hilflosigkeit questo stato di totale impotenza del bebé che percepisce di non poter sopravvivere senza l’intervento altrui, lo ha considerato il precursore dell’angoscia che l’adulto vivrà nel corso della vita. Solo il supporto dell’adulto può aiutarlo a trovare conforto: il pianto funge perciò da richiamo, è l’unico modo a sua disposizione per attrarre attenzione di chi gli sta vicino, da cui dipende la sua vita.

Il pianto del bebé (senza lacrime le prime settimane perché i canali lacrimali sono ancora chiusi) ha una frequenza sonora più elevata di quello del bambino più grande; nei primi mesi di vita si manifesta spesso, occupando mediamente dai 15 ai 60 minuti nella giornata. Come un linguaggio esprime desideri diversi (di mangiare, di dormire, di essere accudito); ma è anche il modo di comunicare le sue sensazioni di dolore, di insicurezza, di bisogno di contatto affettivo, o semplicemente di scaricare la tensione quando diventa insostenibile.

Tuttavia spesso, e soprattutto se si prolunga, il pianto mette in ansia il genitore che all’inizio non è in grado di decodificarlo, di capire il significato delle variazioni di intensità e tonalità. Ecco il motivo per cui è  fondamentale, durante le prime settimane dopo la nascita, dedicare del tempo all’osservazione del bebé per imparare a conoscerlo e a capire cosa il suo pianto esprime. Altrimenti il genitore finisce per attribuirgli una connotazione patologica anche se in realtà esprime altro o per proiettarvi la  sua sensazione di sentirsi inadeguato nella sua capacità di accudimento (che intensifica la sensazione di mancanza di contenimento che prova il bebé).

Il pianto del bebé non va mai ignorato, tuttavia è importante comunicargli anche la propria disponibilità a accettarlo, senza ansia e con pazienza, consolandolo attraverso il contatto fisico o anche soltanto parlandogli con un tono di voce dolce e pacato che gli fa sentire la propria presenza.

Certi neonati fin dalla nascita manifestano una maggiore capacità di consolarsi da soli cercando di mettersi una mano in bocca, succhiando il ciuccio o semplicemente ascoltando la voce della madre se riesce a esprimergli tranquillità. Altri invece hanno bisogno di un maggiore contatto fisico, che tuttavia li agita ulteriormente se percepiscono la tensione di chi li prende in braccio.

Dott. Marcella Marcone

mmarcone@me.com

www.marcellamarcone.it