Raggiunta la dilatazione completa (circa 10 cm.) inizia la terza fase del parto, quella chiamata espulsiva, in cui il feto viene alla luce.
Se durante la fase dilatatoria la donna doveva cercare di favorire le contrazioni senza opporvi resistenza, nella fase espulsiva le contrazioni volontarie dei muscoli addominali (muscolatura striata volontaria) hanno un ruolo importante nel coadiuvare la muscolatura uterina a espellere il feto. (cfr.Le paure del parto – 2 – fase dilatante)
Durante la fase espulsiva la donna è invitata a “spingere” e l’ostetrica, per spiegarle come deve fare, spesso usa la frase “come se andasse di corpo”.
Se da un lato questa precisazione le chiarisce come deve comportarsi, dall’altro può scatena in lei una forte, profonda paura che può avere un effetto inibitorio sull’espulsione o che le fa “perdere la testa” al punto di non riuscire più a coordinare la respirazione con le contrazioni, con il risultato di sentire molto più dolore.
Per molte donne infatti questa richiesta riporta a galla le difficoltà vissute in un periodo particolarmente conflittuale della propria vita infantile.
Le mette infatti in feedback con i desideri e le paure vissute durante il secondo/terzo anno di vita, durante quello che è definito lo stadio anale. Si tratta del periodo di apprendimento della pulizia, in cui la richiesta materna di controllo dei propri sfinteri cozza con i desideri di trattenere/espellere i prodotti del proprio corpo quando e dove si vuole. Credendo di raggiungere più facilmente l’obiettivo, molte madri celano dietro questa richiesta un ricatto affettivo: adeguarsi per essere amati in contrapposizione a seguire i propri desideri rischiando di perdere l’affetto materno.
In base ai propri vissuti può dunque risultare inaccettabile fare qualcosa che può portare a defecare “su richiesta”, davanti a chi l’assiste per il parto, come pure avere la possibilità di sporcare con le feci il proprio bambino.
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Allo scopo di ridurre lacerazioni inopportune e traumatiche del pavimento pelvico durante il passaggio del feto è possibile eseguire l’episiotomia. Si tratta di un piccolo taglio longitudinale, di dimensioni ridotte, che scende verso il retto o trasversale, più ampio, che scende lateralmente In questo caso crea più spazio per il passaggio del feto ma danneggia maggiormente la successiva funzionalità del pavimento pelvico a causa della cicatrice che ne deriva.
L’episiotomia può suscitare un’intensa paura nella donna, perché riattiva le ansie di castrazione vissute inconsciamente durante una fase della sua vita infantile. L’inevitabile confronto con il maschio, dotato di pene, aveva stimolato la fantasia della bambina di averlo posseduto e di averlo perduto per un castigo che le era stato inflitto. La fase espulsiva del parto, in cui la donna “perde” una parte di sé (il bambino) e spesso subisce un taglio ai genitali, rende attuali queste fantasie, e la mette in diretto feedback con l’angoscia che può averle accompagnate
Cfr. piano perineale.
Staphysagria può essere considerato invece il medicinale adatto a favorire la guarigione della cicatrice dovuta all’ episiotomia. Se ne consiglia la somministrazione in granuli alla 9 CH (5 granuli 2 volte al giorno).[/vc_message]
Dott. G. Maggi
Dott. M. Marcone www.marcellamarcone.it