Difficoltà nell’incontro con il neonato

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Per nove mesi la mamma ha investito affettivamente
un bambino che esisteva nella sua fantasia.
Dopo la nascita quel bambino lascia il posto a quello della realtà
su cui spostare l’investimento affettivo

Alla nascita due caratteristiche veicolano i sentimenti che la madre prova per il bambino: la similitudine del bebè con l’immagine elaborata durante la gravidanza e la corrispondenza tra l’affetto per il piccolo che fino a poco prima era parte di se stessa e per il neonato.
Tuttavia, anche se in mancanza della continuità rappresentazionale tra il bambino della fantasia e quello della realtà la mamma prova per lui gli stessi sentimenti d’amore fin dal primo istante, le basi su cui il rapporto si può sviluppare sono solide e positive e fanno presupporre che sarà in grado di accudirlo senza particolari difficoltà.
Ecco le parole di una neomamma che ha vissuto questa situazione:
“Me lo aspettavo diverso, non con tutti quei capelli scuri, con quei peli da scimmietta sulle spalle, persino sulle orecchie…eppure è bellissimo, continuo a guardarlo e mi pare impossibile che sia proprio quello che fino a qualche ora fa si muoveva dentro di me. Quello che non assomiglia minimamente al bambino della mia fantasia però, fin dal primo momento in cui l’ho visto, ha già catturato tutto il mio affetto. Le sensazioni che provavo per lui prima che nascesse sono le stesse che provo per questo fagottino appoggiato su di me, di cui ho conosciuto al tatto le gambette tornite prima ancora di vederne il faccino. E’ il mio cucciolo, sento che per lui darei la mia vita, che per difenderlo ucciderei con le mie mani perché lui è una parte di me, la più importante… “

Per alcune donne invece le prime sensazioni verso il neonato sono completamente diverse: anche se c’è continuità di immagine tra il bambino fantasticato e quello reale, manca quella affettiva, ossia la capacità di riconoscerlo come il proprio bebè. Riporto le parole di due mamma, donne normali, che esprimono la profonda angoscia che stanno vivendo, presagio delle difficoltà che si sono palesate poi nell’accudimento del bambino: “Uguale, perfettamente uguale a quello della mia immaginazione: maschio, biondo, rotondetto, direi persino carino se avessi voglia di guardarlo. Però quello posato sulla mia pancia in sala parto mi pare un estraneo, uno sconosciuto. Se fossi stata addormentata avrei pensato che avessero sostituito, scambiato il mio bambino con questo, per cui provo un’indifferenza inquietante… Come farò a accudirlo, amarlo se non provo nessuna emozione? Mi aspettavo di essere sommersa di gioia, di piangere di felicità, di riempirlo di baci…. invece sono qui, fredda come una statua di marmo che finge di interessarsi a questo estraneo, solo perché si vergogna di essere diversa dalle altre mamme. Mi sento giudicata, criticata, ma non riesco a provare nulla…”

“ Me l’hanno appoggiata sulla pancia e ho urlato che no, non la voglio, o forse sì, non è che non la voglio, ma ho paura, paura che cada, paura di guardarla da vicino, di rendermi conto che è proprio vera, viva, lì, non più dentro di me… che è con lei che dovrò fare i conti…no, cosa dico, che dovrò entrare in contatto. Sarà difficile, ce la farò? Immaginavo tutto diverso, il parto, lei, io…Vorrei stringerla, baciarla ma ho paura di farle male, o di farmi male perché col suo sguardo mi stregherà, si approprierà di me e non saprò più dirle di no e la mia vita diventerà sua….Toglietemela, portatela via, ora non posso averla qui, non voglio vederla adesso, dopo, quando sarò più tranquilla… ora devo dormire, devo riflettere, devo capire, adesso non so chi è, non so chi sono…ho paura…”

Riconoscere il figlio dunque significa riuscire a elaborare il lutto per la perdita del bambino della propria fantasia ed essere in grado di rivolgere l’ affetto verso il bambino della realtà: se giorno dopo giorno la mamma impara a conoscerlo per quello che è e non per quello che credeva fosse riuscirà a capirne i desideri, a decodificarne i messaggi dunque ad accudirlo con maggiore facilità e piacere.