La nascita di un bambino, soprattutto se si tratta del primo figlio, costituisce un evento nuovo per i genitori, che la vivono dimenticando spesso che la realtà che devono affrontare si presenta con sfaccettature molto diverse, non tutte facili da gestire e da accettare. Soprattutto quando il figlio è stato cercato, desiderato, a maggior ragione se è stato concepito passando attraverso molteplici difficoltà, o se presenta dei problemi di salute, non ci si pone neanche di fronte all’eventualità che possa suscitare sentimenti diversi dall’amore e dalla tenerezza. Ci si immagina come genitori disponibili, pronti a soddisfare tutte le necessità del proprio cucciolo, instancabili, inesauribili nel prodigargli affetto. E invece questo non sempre capita, soprattutto alle mamme che passano la loro giornata col bebè: la stanchezza, la spossatezza del dopo parto, in certi casi la fatica a riprendersi a causa di qualche inattesa complicazione, la difficoltà nel dover coordinare i ritmi del bambino con quelli della quotidianità famigliare, il cambiamento di vita che per un periodo più o meno lungo si rende necessario, mettono di fronte a scenari che non si erano neanche immaginati, nei quali si fa fatica a riconoscersi e a riconoscere il bebè. In certe occasioni infatti l’amata creatura sembra tramutarsi in una sanguisuga inesauribile, mai soddisfatta, sempre pronta a chiedere di più e a far sentire la mamma inadeguata, inefficiente, priva di energie e di tempo e, inevitabilmente, sempre meno ben disposta verso chi le causa queste sensazioni. Ecco dunque comparire l’aggressività che, nella maggior parte dei casi, non solo non viene riconosciuta ma anche negata. Riconoscerla infatti getterebbe la donna in un baratro di sensi di colpa, la farebbe sentire perfida, perversa, diversa dalle altre mamme con cui si confronta. Meglio quindi nascondere agli altri e a se stessa quello che prova, evitare di dare un nome ai propri sentimenti, soffocarli, rivolgerli a qualcosa o qualcun altro pur di allontanarli da quello a cui sono rivolti.
Ma tentare di cancellare certe sensazioni, fare come se non esistessero non aiuta ad alleggerire la tensione che le accompagna, che si serve perciò di vie alternative per scaricarsi: in particolare attraverso l’iperprotezione o le disattenzioni nei confronti del bambino. Si tratta di azioni svolte in modo inconsapevole, con leggerezza, che possono avere anche conseguenze estremamente gravi in quanto possono minare la sua integrità: lasciarlo cadere dal fasciatoio/ seggiolone, non accorgersi della temperatura eccessivamente elevata del latte del biberon o dell’acqua del bagnetto, non dare peso a segnali inequivocabili attraverso cui esprime un problema di salute ecc. Sono situazioni che potrebbero essere evitate se la mamma prendesse coscienza dei suoi passeggeri ma intensi sentimenti aggressivi verso il pargolo.
La maggior parte delle donne li prova in determinati momenti, in base al suo carattere e alla situazione oggettiva che vive. Dunque non deve sentirsi “diversa” dalle altre mamme, anche se a parole affermano il contrario!
Riconoscere questi sentimenti è il primo passo per cercare di gestirli, limitando le conseguenze che potrebbero avere sul bambino. Meglio lasciarlo piangere nella d culla piuttosto che sentirsi in dovere di prenderlo in braccio per calmarlo, se in quel momento si sta maledicendo il fatto di averlo voluto mettere al mondo!
Avere il coraggio di guardarsi dentro senza camuffare ciò che si prova permette anche di “monitorare” la frequenza, l’intensità, la durata di questi momenti in cui non si è come si vorrebbe essere, sapendo che, se sono eccessivamente invasivi, vale la pena farsi aiutare per cercare di disattivarli
Non esiste una mamma che accetta incondizionatamente il suo bambino, col sorriso sulle labbra SEMPRE.
La buona mamma è quella che ha l’onestà di riconoscere, senza minimizzare, i sentimenti di aggressività che a volte prova per il suo bebé (se le impedisce di realizzare certi desideri o se le provoca intensi momenti di frustrazione), ma che è in grado di gestirli in modo che non gli rechino danno.
Dott. M. Marcone www.marcellamarcone.it