Man mano che si avvicina la fine della gravidanza, le preoccupazioni della donna sono rivolte soprattutto al momento del parto. Ognuna si pone mille interrogativi su come si svolgerà e immagina scenari diversi, influenzati dal suo carattere, da eventuali precedenti esperienze, dai racconti uditi da persone che lo hanno già vissuto.
Per molte è come se alla fine dei nove mesi i pensieri rivolti al bambino venissero offuscati da quelli relativi al parto, il grande scoglio da superare prima di potersi finalmente prendere cura del neonato!
Tuttavia anche a quelle per cui il parto si svolge senza inconvenienti spesso capita di doversi confrontare con situazioni che non avevano previsto, che rendono i primi giorni “da mamma” diversi da come li avevano immaginati.
Mi riferisco a diversi tipi di situazioni:
- una, di tipo psicologico, percepita come estranea e minacciosa riguarda le sensazioni che alcune provano – o non provano – verso il bebé . È come se facessero fatica a riconoscere in quello che hanno tra le braccia il bambino immaginato durante la gravidanza, come se si trattasse di un piccolo estraneo che non riesce a smuovere in loro quei sentimenti che pensavano sgorgassero spontaneamente a prima vista (cfr.Difficoltà nell’incontro con il neonato)
- Un’altra riguardante la difficoltà a riconoscersi nella nuova identità, che non è più di gravida ma che è anche diversa da quella che la donna aveva prima della gravidanza. Per molte non è facile e richiede tempo ritrovarsi in un corpo che pare tradirle sia sotto l’aspetto estetico (per esempio la pancia non si appiattisce malgrado non contenga più il feto) che funzionale (per esempio se i punti dell’episiotomia fanno male diventa tutto diventa difficoltoso, dal camminare allo stare seduta, all’andare di corpo);
- una terza riguarda lo stato di salute del neonato, che pur essendo sano spesso nei primi giorni di vita presenta qualche anomalia (per esempio nei valori degli esami di routine) che richiede accertamenti che allungano la sua degenza in ospedale. La mamma sarebbe dimessa ma dal momento che il bambino non può ancora andare a casa spesso gli resta accanto, continuando a comportarsi da paziente anche se non lo è più. Questo non fa che aumentare il suo stato di confusione e di tensione vedendo rimandare il momento in cui potrà iniziare a costruire la sua quotidianità con il neonato senza interferenze.
In questi casi è importante supportare la donna cercando di non soffocare e minimizzare le sue ansie e il suo malessere ma permettendole di esprimerlo, aiutandola a farlo con un ascolto neutro e benevolente. Inoltre va rassicurata che l’intimità col suo bebé si stabilisce anche se tra di loro si frappone un’incubatrice o una culla per la fototerapia. Infatti il piccolo percepisce la presenza affettiva della sua mamma da come viene accolto nei momenti di allattamento, del cambio del pannolino o semplicemente dal modo in cui viene accarezzato se si trova in incubatrice, dal tono in cui gli si parla.
Se una volta la degenza in ospedale della puerpera durava almeno 4/5 giorni durante i quali venivano risolte molte situazioni relative al bambino (ripetizione di esami clinici, interventi di fototerapia, ecc) oggi dura in genere solo 48 ore, per cui è abbastanza frequente che possa venire allungata. La donna dunque andrebbe preparata a questa eventualità, per viverla con minore ansia nel caso si presentasse.
Dott. M. Marcone Milano