Coronavirus e paura

0
694

Da quando il coronavirus è comparso nel nostro paese, una delle parole più presenti nei discorsi delle persone è ‘paura’.

Paura che può essere declinata in diverse accezioni: di ammalarsi, di essere contagiati, di restare in quarantena. Ma soprattutto paura di doversi inevitabilmente rendere conto che il coronavirus sta cambiando lo stile di vita di tutti e che lo cambierà per una durata che non è  possibile prevedere.

La paura deriva dunque dall’incontrollabilità di una situazione che

  • non riguarda solo l’individuo ma la società in cui vive;
  • evidenzia tutta la precarietà che caratterizza l’essere umano che, forse per evitare di prenderne coscienza, vive una sorta di compulsione all’attività e allo spostamento.

Sebbene oggi il coronavirus sia un nemico di cui sappiamo ancora poco, appare chiara la sua capacità di diffondersi in tempi rapidissimi col rischio di mandare nel caos le strutture assistenziali. Davanti a questa evidenza dunque una reazione di paura è normale, giustificata ed anche utile. Infatti è il segnale che, di fronte a un pericolo reale, spinge ad adottare comportamenti che possano aumentare la sicurezza e l’incolumità degli individui, anche se, in certi casi, entrano in conflitto con le loro abitudini.

Ci sono però situazioni in cui la reazione al pericolo diventa eccessiva e la paura assume i tratti patologici della fobia: si manifesta cioè con reazioni sproporzionate e incontrollabili che non tengono più conto dei dati della realtà. Questo significa per esempio che, invece di rispettare le norme igieniche suggerite, come quella di lavarsi spesso le mani, qualcuno esprime comportamenti maniacali di pulizia temendo che il contagio possa avvenire anche attraverso canali considerati sicuri (per esempio il cibo o il contatto con gli animali); oppure  ci si rinchiude in casa per rifuggire l’incontro con qualsiasi persona, invece di limitarsi semplicemente a evitare luoghi affollati; o si saccheggiano i supermercati terrorizzati dall’infondato timore di restare senza cibo… Questi comportamenti esagerati che sembrano nascere da una scorretta interpretazione delle norme di comportamento da tenere in questa situazione, sono invece l’espressione di altre paure profonde di cui spesso non si ha sentore, che alimentano in modo indiscriminato la reale e circoscritta paura del coronavirus. Paure che per alcuni esistono a prescindere dalla  realtà oggettiva che funge da maschera che ne occulta la vera origine.

Nella donna incinta, in cui la barriera tra la realtà oggettiva e il proprio mondo interiore profondo è fisiologicamente più labile, è facile che la paura del Covid-19 si  presenti con una discreta intensità, dettata dal timore che la malattia possa essere contratta e trasmessa al bambino, malgrado questa evenienza sia smentita dai dati finora raccolti. (cfr. Il coronavirus in gravidanza: cosa si sa fino ad ora).

Anche in questi casi, se prende la connotazione della fobia, diventa utile poterla metabolizzare con l’aiuto di un intervento psicoterapeutico, che oltre a permettere alla madre di vivere più serenamente la gravidanza, evita al piccolo di assimilare un malessere materno che può condizionare il suo sviluppo più del coronavirus.t.

M. Marcone  Milano

www.marcellamarcone.it